Due amici corrono. È notte, forse è una periferia, forse è un non-luogo. Corrono senza fermarsi, come in una vera maratona. Uno è più deciso, l’altro più esitante. Corrono e parlano. Ricordi, confessioni, scherzi, paure, sogni: la corsa diventa un pretesto per scavare nel rapporto tra loro, per esplorare la fatica, la competizione, l’amicizia e la solitudine. Ogni passo è una sfida, ogni battuta è una rivelazione. E più la corsa li consuma, più si svela il fragile equilibrio tra resistenza fisica e resistenza emotiva.
“Maratona di New York” è un atto unico scritto da Edoardo Erba nel 1992, diventato in breve tempo uno dei testi più rappresentati del teatro italiano contemporaneo, anche a livello internazionale. Lo spettacolo, essenziale e potentemente fisico, mette in scena due soli attori impegnati in una lunga corsa sul posto che diventa metafora della vita, della prova di resistenza che ogni relazione – e ogni individuo – è chiamato ad affrontare.
“Ogni tanto penso che questa cosa della corsa sia una stronzata. Cosa abbiamo da dimostrare? E soprattutto: perché tutti i giorni dobbiamo dimostrare qualcosa?”
La regia punta sull’essenzialità: nessuna scenografia realistica, ma un vuoto scenico che amplifica il battito del cuore, il respiro affannato, il ritmo serrato del dialogo. Il linguaggio è quotidiano, sincopato, a tratti surreale. Il pubblico assiste non solo a una prova fisica ma a un progressivo svelamento dell’intimità tra i due protagonisti, in bilico tra complicità e rivalità, ironia e tragedia.
“Maratona di New York” è una riflessione poetica e spietata sull’amicizia maschile, sulla pressione sociale, sull’ossessione della performance e sulla paura del fallimento. Una corsa che non ha un traguardo, ma che interroga chi siamo e perché continuiamo a correre.