Artisti liberi indipendenti

RADIODRAMMI

delimiter image
«La radio è il teatro della mente»
Steve Allen
Quando parliamo di “radiodramma” rischiamo di avventurarci in un territorio oggi ancora tutto da sondare. Nata con le prime sperimentazioni in Inghilterra agli albori degli anni ’20, in Italia se ne cominciò a parlare dopo la fondazione dell’Unione Radiofonica Italiana (1927), sono stati molteplici i tentativi da parte degli esperti di darne una definizione completa. Oggi si intende spesso con questo termine l’adattamento radiofonico di un testo teatrale, sarebbe filologicamente più corretto definirlo come una creazione drammatica (basata sull’uso di materiali sonori, strumentali, concreti, vocali) che viene ideata e sviluppata in funzione dell’ascolto via radio. Proprio in virtù della propria natura “affabulatoria” la radio non solo documenta ma racconta la storia attraverso i monologhi, le conversazioni, i radiodrammi, le ricostruzioni storiche, le commemorazioni, e tutte le altre forme che ne hanno caratterizzato la produzione più mediata, cioè quello che oggi definiamo “arte radiofonica”.
Il radiodramma (usiamo volutamente questo termine che conserva un sapore artigianale) siamo convinti che abbia una forza particolare, soprattutto in questo momento, ovvero in un momento in cui siamo tutti sottoposti a un bombardamento di immagini continuo e sempre più veloce, reso sempre più confuso e affastellato dai numerosi canali televisivi e dalla rete internet, un universo di immagini sempre più caotico e incombente. Sono fortemente convinto che la radio abbia una forza particolare, che è la forza che ha sempre avuto, ovvero quella di consentire una maggiore concentrazione e una maggiore capacità di suggestione. Uno dei primi teorici della radio che fu Rudolf Arnheim che scrisse cose sorprendenti durante gli anni ’30 in Germania, anni in cui la TV era ancora a livelli sperimentali così come il cinema sonoro. Arnheim aveva compreso che non bisogna considerare la radio come una televisione senza immagine o come un prodotto che è carente di qualcosa, ossia della vista.
Nel suo “Elogio della cecità” dice che chi non ha la possibilità di vedere sviluppa gli altri sensi e acuisce la sua possibilità di percezione fantastica relativamente a quello che sta ascoltando.
La radio forse è ancora un angolo in cui ci si può sottrarre da questo bombardamento di immagini che anziché creare concentrazione, distrae e confonde, mentre l’ascolto radiofonico può creare altre dinamiche interne di fruizione sia di un prodotto comunicativo che artistico.